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Santi del 21 Giugno

Il mio Santo > I Santi di Giugno

*Santa Colagia - Vergine Mercedaria (21 Giugno)
+ Barcellona, Spagna, 1295
Originaria di Barcellona, Santa Colagia ricevette l’abito mercedario dalle mani di San Bernardo da Corsara, e si aggregò alle prime giovani che avevano seguito Santa Maria de Cervellon formando la prima comunità femminile dell’Ordine Mercedario.
Fu grandissima maestra spirituale e vergine prudente conducendo una vita di mortificazione e preghiera e dopo aver compiuto tanti miracoli e prodigi, raggiunse la felicità eterna nell’anno 1295 nel convento di Barcellona.
L’Ordine la festeggia il 21 giugno.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Colagia, pregate per noi.

*Santa Demetria di Roma - Martire (21 giugno)

Roma, IV secolo
Santa Demetria era un tempo commemorata nel Martirologio Romano al 21 giugno, ma nei repertori agiografici il suo dies natalis è riferito in giorni diversi. Secondo la leggendaria passio di Pimenio sarebbe stata figlia dei martiri Flaviano e Dafrosa e sorella di Santa Bibiana.
Dopo la morte dei genitori, arrestata insieme con la sorella e condotta alla presenza dell'imperatore Giuliano, improvvisamente morì di spavento. Come per i suoi familiari, anche per Demetria bisogna dire che si tratta di un personaggio storicamente incerto.

Etimologia: Demetria = sacra alla dea Demetra, dal greco
Emblema: Palma
Impossibile sarebbe qualificare quale personaggio storico Santa Demetria, martire romana del IV secolo, un tempo commemorata dal martirologio cattolico al 21 giugno. La tradizione la vuole figlia dei Santi Flaviano (22 dicembre) e Dafrosa (4 gennaio) e sorella di Santa Bibiana (2 dicembre). Oggi dell’intera famiglia solamente quest’ultima è ancora menzionata dal Martyrologium Romanum.
Demetria visse dunque a Roma nel IV secolo, al tempo dell’imperatore Giuliano l’Apostata e proprio da questi la sua famiglia sarebbe stata condannati a morte. Nella “Passio Sanctae Bibianae” risalente al VII secolo si legge che il governatore Aproniano, dopo aver condannato a
morte i coniugi Flaviano e Dafrosa, essendo ormai certo di potersi impossessare del loro patrimonio, tentò di costringere all’apostasia anche le due giovani figlie. Demetria morì rinchiusa in carcere o, secondo altre fonti, spaventata dalla visione dell’imperatore, prima comunque di subire esplicitamente il martirio, sorte che invece subì la sorella Bibiana.
Questa versione dei fatto funge da giustificazione della venerazione delle due sante in date separate. Va comunque specificato che in vari repertori agiografici il “dies natalis” di Demetria è riferito in giorni diversi dal 21 giugno.
Il corpo di Santa Demetria ricevette sepoltura accanto alla tomba dei genitori e della sorella, preso la loro abitazione sull’Esquilino, dove in seguito per volere di Papa Simplicio fu innalzata una cappella e più tardi l’attuale basilica. Le reliquie di San Flaviano presero poi strade diverse e sono oggi venerate presso la cittadina laziale di Montefiascone.
I corpi di Dafrosa e delle figlie Demetria e Bibiana invece furono rinvenuti nel 1624 e ricollocati due anni dopo dal pontefice Urbano VIII in tre reliquiari. Sono ancora oggi conservate nel sarcofago costantiniano, in alabastro orientale, sotto l’altare maggiore della chiesa di Santa Bibiana.
Parte delle reliquie di Santa Dafrosa sono invece custodite nella patriarcale basilica di Santa Maria Maggiore, dove il 4 gennaio veniva abitualmente celebrata la sua festa. Merita infine rammentare come questa santa famiglia non sia che uno tra numerosi casi in duemila anni di cristianità di riuscite imitazioni della Santa Famiglia di Nazareth.
Validi esempi in proposito sono costituiti dai Santi Mario e Marta con i figli Abaco ed Audiface, Gregorio e Nonna con i figli Gregorio, Cesario e Gorgonia, Venerabile Luigi Martin e Zelia Guerin con la figlia Teresa di Gesù Bambino, e nel XX secolo l’ultimo zar russo Nicola II Romanov, martire dei bolscevichi con la moglie e la prole.
Possono dunque essere considerati modelli più vicini alle famiglie tutti quei coniugi che hanno fatto del loro matrimonio la strada per meritare la santità per sé e per i propri figli.

(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Demetria di Roma, pregate per noi.

*Beato Giacomo Morelle Dupas - Martire (21 giugno)

Martirologio Romano: In una galera ancorata davanti a Rochefort in Francia, Beato Giacomo Morelle Dupas, sacerdote e martire, che, severo con se stesso e mite con gli altri, condannato al carcere per avere esercitato il suo ministero di parroco nel territorio di Poitiers durante la rivoluzione francese, morì di inedia.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giacomo Morelle Dupas, pregate per noi.

*San Giovanni Rigby - Martire (21 giugno)

Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Santi Quaranta Martiri di Inghilterra e Galles”

Harrock Hall, Inghilterra, ca. 1570 - Londra, Inghilterra, 21 giugno 1600
Giovanni Rigby, anglicano convertitosi al cattolicesimo, per questo fu ucciso il 21 giugno del 1600. È stato canonizzato insieme ai Quaranta martiri d'Inghilterra e Galles nel 1970 da Papa Paolo VI.
Martirologio Romano: A Londra in Inghilterra, San Giovanni Rigby, martire, che, arrestato e condannato a morte sotto la regina Elisabetta I per essersi riconciliato con la Chiesa cattolica, fu impiccato a Southwark e sventrato mentre era ancora vivo.
Quarto figlio di Nicola Rigby e di Ma­ria Breres, il Rigby nacque ad Harrock Hall, nel Lancashire, intorno al 1570.
Come molti cattolici dei suoi tempi, dovette anch'egli adattarsi, benché a malincuore, a frequentare la chiesa protestante allo scopo di evitare i rigori della legge contro i ricusanti.
Pentitosi tuttavia di ciò profondamente, si riconciliò ben presto con la Chiesa cattolica, andando a confessare la sua debolezza al padre francescano Giovanni Goffredo Jones (conosciuto allora come Mr. Buckley), che si trovava rinchiuso a quell'epoca nelle prigioni di Clink a Londra.
A causa delle disagiate condizioni economiche in cui versava, il Rigby si vide costretto ad entrare al servizio di Sir Edmund Huddleston, il quale lo inviò un giorno al tribunale di Old Bailey per giustificare l'assenza, dovuta a malattia, della propria figlia Fortescue, convocatavi per rispondere dei suoi sentimenti religiosi.
Fu in questa circostanza che uno dei commissari, tale Richard Martin, cominciò ad interrogare il Rigby intorno alla religione da lui praticata, che egli dichiarò con tutta franchezza essere la cattolica, per cui mai si sarebbe piegato a frequentare il culto protestante ed a riconoscere la supremazia della regina. Ciò bastò perché venisse arrestato e rinchiuso nelle prigioni di Newgate, dove rimase dal 14 al 19 febbraio 1600, allorché fu trasferito alle carceri di White Lion a Southwark.
Al processo uno dei giudici, di nome Gaudy, ammirato per la sua franca sincerità, fece tutto il possibile per persuaderlo ad andare al servizio protestante, assicurandogli che ciò sarebbe stato sufficiente per fargli recuperare la piena libertà, anche se l'accusa che gravava su di lui era di alto tradimento per essersi riconciliato con la Chiesa di Roma.
Al deciso rifiuto del Rigby, che seguitò fermamente a dichiarare di essere stato sempre cattolico, ancorché riconciliato, e di voler rimanere sempre tale, i giudici pronunciarono contro di lui sentenza di morte, ma il predetto giudice Gaudy riuscì tuttavia a far rinviare l'esecuzione.
Processato nuovamente il 19 giugno ed esortato ancora a conformarsi alla religione di Stato, il Rigby rifiutò sempre più energicamente per cui, condannato alla pena capitale per la seconda volta, salì fiero e sereno il patibolo a St. Thomas' Waterings il 21 giugno 1600.
Degli avvenimenti relativi all'arresto, prigionia e processo del Rigby rimane una interessante e particolareggiata narrazione, redatta, sulle note stesse lasciate dal martire, da Tommaso Worthington, rettore del Collegio inglese di Douai, e dal medesimo pubblicata nel 1601 con il titolo A relation of six-tene martyrs glorified in England in twelve months.
È una narrazione molto viva, in cui gli interrogatori rapidi e precisi ricordano gli autentici Acta martyrum; divenuta introvabile nella sua prima edizione del 1601, essa venne ripubblicata, con introduzione e note, da C. A. Newdigate sotto il diverso titolo di A Lancashire man; the story of the martyrdom for the Catholic faith of the venerable J. R., at Southwark... 1600, Londra 1928. Beatificato da Pio XI il 15 dicembre 1929, il Rigby è commemorato il 21 giugno.

(Autore: Niccolò Del Re Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giovanni Rigby, pregate per noi.

*Beato Giovanni di Gesù - Mercedario (21 Giugno)

Nel convento di Sant’Eulalia in Siviglia (Spagna), il mercedario Giovanni di Gesù, soprannominato Elemosiniere poiché quello era il suo compito, visse in umiltà e semplicità con una fede lodevole.
Morì nel bacio del Signore e di lui si narrano molti miracoli.
L’Ordine lo festeggia il 21 giugno.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giovanni di Gesù, pregate per noi.

*San Jose Isabel Flores Varela - Martire Messicano (21 Giugno)

Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Santi Martiri Messicani” (Cristoforo Magallanes Jara e 24 compagni - 21 maggio - Memoria Facoltativa)
Santa Maria de la Paz, Zacatecas (Guadalajara), 28 novembre 1866 - Zapotlanejo (Messico), 21 giugno 1927
Cappellano di Matatlán, della parrocchia di Zapotlanejo, Jalisco (Arcidiocesi di Guadalajara).
Per 26 anni diffuse la carità del suo ministero in quella cappellania, mostrandosi a tutti un padre affettuoso che li edificò con la sua abnegazione e con la sua povertà, il suo spirito di sacrificio, la sua pietà e la sua sapienza.
Un vecchio compagno che era stato protetto da Padre Flores lo denunciò al capo di Zapotlanejo e venne incarcerato il 18 giugno 1927, quando stava dirigendosi verso un campo per celebrare l'Eucarestia. Cercarono di ucciderlo impiccandolo ma non vi riuscirono.
Il capo ordinò di sparare, ma un soldato riconobbe in lui il sacerdote che lo aveva battezzato e non volle farlo; infuriato l'aguzzino assassinò il soldato. Misteriosamente le armi non spararono contro padre Flores e, quindi, uno di quegli assassini tirò fuori un grosso coltello e scannò il valoroso martire.

Emblema: Palma
Martirologio Romano: Nel territorio di Zapotlanejo in Messico, San Giuseppe Isabel Flores, sacerdote e martire al tempo della grande persecuzione.
Dopo le grandi persecuzioni contro la Chiesa nel periodo della Rivoluzione Francese, delle leggi anticlericali dei governi italiani e francesi della seconda metà dell’Ottocento, delle sanguinose persecuzioni contro i missionari e fedeli cattolici in Cina, negli anni a cavallo fra il XIX e XX secolo; della Rivoluzione Bolscevica in Russia del 1918 e prima di arrivare negli anni 1934-1939 alla grande carneficina della Guerra Civile Spagnola, si ebbe la persecuzione in Messico dal 1915 al 1929.
Dopo la dittatura di Porfirio Diaz (1876-1911) si ebbe un periodo di rivoluzioni e di guerre civili; in quest’arco di anni, le condizioni della Chiesa nel Messico furono estremamente difficili, specialmente dopo l’entrata in vigore, il 5 febbraio 1917, della nuova Costituzione anticlericale e antireligiosa.
Il clero cattolico fu oggetto di minacce, soprusi e vessazioni da parte dei governi massonici, che si spinsero fino alla più bruta violenza e all’assassinio; in fondo si perseguitarono i preti solo perché sacerdoti.
In un continuo succedersi di presidenti chiamati a guidare il Paese, alcuni uccisi, in preda a costanti conflitti interni, si giunse alla nomina di Plutarco Elias Calles nel 1924, questi lavorò per il risanamento economico, il rafforzamento del movimento operaio, favorì la distribuzione della terra
ai contadini, ma inasprì anche la lotta contro la Chiesa, che in varie occasioni e situazioni si tramutò in una vera e propria persecuzione; i sacerdoti ed i laici cattolici vennero a scontrarsi con il più acerrimo ateismo.
Papa Giovanni Paolo II il 22 novembre 1992, beatificò nella Basilica di S. Pietro, 25 di questi perseguitati, che da sacerdoti, parroci o laici, donarono con il martirio la loro vita per la difesa della Fede e per l’affermazione della presenza della Chiesa Cattolica in Messico.
Il 21 maggio del 2000 lo stesso pontefice li ha canonizzati tutti i 25 in Piazza S. Pietro, indicando alla Chiesa Universale l’esempio della loro santità, operata in vita e coronata dal martirio finale.
Si riportano i 25 nomi, per ognuno esiste una scheda biografica:
Parroco Cristóbal Magallanes Jara - parroco Román Adame Rosales - parroco Rodrigo Aguilar Alemán - parroco Julio Alvarez Mendoza - parroco Luis Batis Sainz - sacerdote Agustín Caloca Cortés - parroco Mateo Correa Magallanes - sacerdote Atilano Cruz Alvarado - sacerdote Miguel de la Mora de la Mora - sacerdote Pedro Esqueda Ramírez - sacerdote Margarito Flores García - sacerdote José Isabel Flores Varela - sacerdote Pedro de Jesús Maldonado Lucero - sacerdote David Galván Bermudez - ragazzo Salvador Lara Puente - sacerdote Jesús Méndez Montoya - laico Manuel Morales - parroco Justino Orona Madrigal - sacerdote Sabás Reyes Salazar - parroco José María Robles Hurtado - ragazzo David Roldan Lara - sacerdote Toribio Romo Gonzáles - sacerdote Jenaro Sánchez Delgadillo - parroco David Uribe Velasco - viceparroco Tranquilino Ubiarco Robles. (La loro celebrazione collettiva è al 21 maggio).
Il sacerdote José Isabel Flores Varela, nacque a Santa Maria de la Paz, Zacatecas (archidiocesi di Guadalajara), il 28 novembre 1866.
Fu cappellano di Matatlán, Jalisco, per 26 anni dove diffuse la carità del suo ministero in quella cappellania, mostrandosi a tutti un padre affettuoso, confortandoli con il suo zelo e la sua povertà, il suo spirito di sacrificio, la sua pietà e la sua sapienza.
Fu vigliaccamente tradito da un suo vecchio compagno, che aveva tante volte aiutato; e denunciato al capo di Zapotlanejo il piccolo paese dove esercitava il suo ministero sacerdotale.
Il 18 giugno 1927 fu incarcerato mentre si recava in una fattoria per celebrare la Messa e messo in un luogo sporco e maltrattato, finché il 21 giugno 1927 fu preso di notte e condotto nel cimitero di Zapotlanejo per l’esecuzione.
La cosa non fu facile, cercarono di impiccarlo ma non vi riuscirono; il capo degli aguzzini allora ordinò di sparargli, ma un soldato riconobbe in padre José Isabel Flores Varela, il sacerdote che l’aveva battezzato pertanto si rifiutò, il capo infuriato uccise il soldato.

Misteriosamente le altre armi non spararono contro il sacerdote inceppandosi; allora uno degli assassini tirato fuori un coltello, tagliò la gola all’eroico martire. (Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Jose Isabel Flores Varela, pregate per noi.

*San Lazzaro - Mendicante e lebbroso (21 Giugno)

Patronato: Lebbrosi
Il nome Lazzaro ha all’origine l’ebraico Eleazaro e significa “colui che è assistito da Dio”.
Il Lazzaro di cui parliamo è il personaggio della parabola, raccontata da Gesù, del ricco epulone e del povero mendicante lebbroso.
Questa parabola riportata solo nel Vangelo di San Luca (16, 19-31) è l’unica in cui un personaggio di fantasia abbia un nome: Lazzaro; ma come è avvenuto per vari personaggi minori, che compaiono nei racconti evangelici e che in seguito nella tradizione cristiana, hanno ricevuto un culto, un ricordo perenne, un titolo di Santo, anche per Lazzaro pur essendo un personaggio protagonista di un racconto di fantasia, da non confondere con Lazzaro di Betania che fu resuscitato da Gesù, nel corso del tempo si è instaurata una devozione, come se fosse stato un personaggio realmente esistito.
È chiaro che la parabola di Gesù, contiene in sé un insegnamento universale e molto sentito, specie in quei tempi; essa è raccontata per mostrare ai farisei ed a tutti gli avari, dove portano le ricchezze usate per soddisfare il proprio egoismo.
“Vi era un uomo ricco che vestiva di porpora e di bisso e ogni giorno faceva splendidi banchetti.
Un mendicante di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi
di quello che cadeva dalla mensa del ricco e nessuno gliene dava; perfino i cani venivano a leccargli le piaghe.
Ora avvenne che il povero Lazzaro morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo.
Morì anche il ricco epulone e fu sepolto. Stando nell’inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui.
Allora gridando disse: “Padre Abramo abbi pietà di me e manda Lazzaro ad intingere nell’acqua la punta del suo dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura”.
Ma Abramo rispose: “Figlio ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato, mentre tu sei tormentato e per di più fra noi e voi è stato fissato per sempre un grande abisso, di modo che quelli che volessero di qui passare e venire a voi non possono, né da lì si può attraversare fino a noi”.
Allora egli soggiunse: “Ti prego dunque, o padre, di mandarlo a casa del padre mio, perché ho cinque fratelli; li ammonisca perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”.
Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè ed i Profeti, ascoltino loro”, ma egli insisté: “No, padre Abramo, se però qualcuno dei morti andrà da loro, si ravvederanno”.
Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè ed i Profeti, non crederanno neppure se uno risuscitasse dai morti”.
La celebre parabola, riportata solo da Luca del ricco epulone e del misero Lazzaro, è un’antitesi che da sociale diventa anche religiosa, esaltando la povertà come modello di protezione divina.
In essa si considera riguardo la figura di Lazzaro, che egli nel suo umiliante e penoso stato di mendicante ed ammalato, ha pazienza, anche davanti allo sprezzante trattamento che riceve dal ricco gaudente, pensando al Paradiso (seno di Abramo), che Gesù ha promesso ai poveri di spirito.
Perciò il Signore, che vede l’animo, lo fa trasportare appena morto, in trionfo dagli angeli, nella beatitudine eterna.
Ora questo rivela come egli sopportava il suo stato, con rassegnazione unita alla speranza del Paradiso, fiducioso in Dio, Padre di tutti, che premia i buoni, anche se poveri e mendicanti.
San Giovanni Crisostomo, parlando di Lazzaro esclama: “Chiunque voi siate, o ricchi o poveri, l’avete visto disprezzato nel vestibolo dell’epulone, miratelo ora radiante nel seno di Abramo; l’avete visto quando giaceva attorniato da cani che gli leccavano le piaghe, contemplatelo ora circondato da angeli; l’avete visto nella fame, contemplatelo nell’abbondanza di ogni bene, l’avete visto nella lotta, osservatelo vincitore incoronato, avete visto i suoi travagli, miratene il premio”.
La parabola ci dà lo spunto per tante altre riflessioni, che non possiamo qui, per motivo di spazio, approfondire: la sepoltura splendida del ricco, similitudine del seno di Abramo con il Paradiso cristiano, l’esistenza del tormento infernale, l’impossibilità di passare dai morti ai vivi, dalle anime elette alle anime in tormento, private perciò della visione e della beatitudine di Dio, l’incitamento a seguire gli insegnamenti, provenienti da persone incaricate da Dio, di trasmettere le Sue volontà e leggi, senza aspettare prove straordinarie per credere.
La figura di Lazzaro e la scena del banchetto ha sempre ispirato la fantasia degli artisti, che in tutti i secoli lo hanno raffigurato, contribuendo così ad innalzarlo ad un simbolo della povertà e della sofferenza, premiata da Dio, quando accettate con rassegnazione e speranza nella Sua Divina Misericordia.
Per questo Lazzaro venne considerato come un santo, anche se la sua figura era in realtà fantasiosa ma simbolica; il moderno "Martirologio Romano" non ne fa più menzione.
Egli è stato considerato il patrono dei lebbrosi, quando la lebbra era una malattia molto più diffusa di oggi in tante parti del mondo; dal suo nome scaturì la denominazione del ‘lazzaretto’, sorta di ricovero e cura per i lebbrosi o malati infettivi da tenere in isolamento, infatti il primo di questi ‘lazzaretti’ sorse a Venezia nell’isola di San Lazzaro.
Il nome è oggi poco usato e comunque chi lo porta, si riferisce certamente ad altro San Lazzaro; in Spagna poi ha finito per assumere un significato peggiorativo come: ‘pezzente’, da cui derivò a Napoli il termine ‘lazzarone’ introdotto al tempo dell’occupazione spagnola e di Masaniello, sempre indicante uno straccione, popolano, mascalzone, pezzente.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Lazzaro, pregate per noi.

*San Leufredo (Leutfrido) - Abate (21 Giugno)

m. 738
Martirologio Romano:
Nel territorio di Évreux nella Neustria, in Francia, San Leutfrido, abate, fondatore del monastero di La Croix, che resse per circa quarantotto anni.
La Vita di Leufredo è stata scritta da un monaco anonimo del monastero di La Croix nel sec. IX, circa centoventicinque anni dopo la morte del santo, ma questo racconto, che attinge largamente alla Vita di Sant’ Audoeno, non merita che una limitata fiducia.
Nato da nobile famiglia della regione di Évreux in Normandia, Leufredo ricevette una prima istruzione dal rettore della chiesa di S. Taurino. Si recò successivamente a compiere i suoi studi a
Chartres, dove insegnavano famosi maestri. Ritornato presso i genitori, assunse il compito di precettore dei ragazzi delle famiglie vicine. Sognava, tuttavia, la vita monastica e una notte, dopo aver offerto un banchetto alla sua famiglia, lasciò la casa paterna.
Si fermò dapprima a Varenne, nella diocesi di Rouen, dove si trovava un convento di suore, poi incontrò un eremita di nome Bertrando e condusse per un certo tempo vita di recluso.
Si recò quindi a Rouen, attirato dalla fama di San Sidonio, di origine irlandese, che gli conferì l'abito religioso e lo fece entrare nella cerchia di Sant' Ansberto, vescovo di Rouen dal 684.
Verso il 690, per consiglio di Sidonio e di Ansberto, Leufredo decise di ritornare nella regione di Évreux per fondarvi un monastero che, nello stesso tempo, fosse un focolaio missionario. Si stabili a quindici Km. a Nord di Évreux in una località dove, una quindicina di anni prima, Sant' Audoeno, vescovo di Rouen, aveva avuto la visione di una croce risplendente e aveva piantato in terra una croce di legno circondata da reliquie. Leufredo costruì in quel luogo una chiesa in onore della santa croce e dei SS. Apostoli e un monastero cui dette il nome di La-Croix-Saint-Ouen, che, nel X sec, fu cambiato in quello di La-Croix-Saint-Leufroy.
L'autore della Vita riferisce numerosi miracoli che Leufredo avrebbe compiuti prima e dopo la morte, ma dà pochissime notizie sul suo governo; segnala soltanto che l'abate ebbe alcune difficoltà con Desiderio, vescovo di Évreux, e che fece costruire un ospizio per accogliere i poveri.
Leufredo morì il 21 giugno 738, dopo quarantotto anni di governo e fu inumato nella chiesa del monastero. Il 22 giugno 851, Guntberto, vescovo di Évreux, procedette alla «elevazione» dei suoi resti. Poco dopo, le invasioni normanne costrinsero i monaci di La Croix ad abbandonare il loro monastero ed a cercare rifugio nell'abbazia di Saint-Germain-des-Prés a Parigi, portandovi le reliquie del loro fondatore.
Quando poterono ritornare in Normandia, lasciarono ai loro ospiti le reliquie che, nel 1222 furono deposte in una nuova cassa da Gualtiero, abate di Saint-Germain-des-Prés. La memoria di Leufredo è fissata al 21 giugno nella diocesi di Évreux e di Parigi.

(Autore: Philippe Rouillard – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Leufredo, pregate per noi.

*San Luigi Gonzaga - Religioso (21 Giugno)

Castiglione delle Stiviere, Mantova, 9 marzo 1568 - Roma, 21 giugno 1591
Figlio del duca di Mantova, nato il 19 marzo del 1568, fin dall'infanzia il padre lo educò alle armi, tanto che a 5 anni già indossava una mini corazza ed un elmo e rischiò di rimanere schiacciato sparando un colpo con un cannone.
Ma a 10 anni Luigi aveva deciso che la sua strada era un'altra: quella che attraverso l'umiltà, il voto di castità e una vita dedicata al prossimo l'avrebbe condotto a Dio.
A 12 anni ricevette la prima comunione da San Carlo Borromeo, in visita a Brescia.
Decise poi di entrare nella compagnia di Gesù e per riuscirci dovette sostenere due anni di lotte contro il padre.
Libero ormai di seguire Cristo, rinunciò al titolo e all'eredità ed entrò nel Collegio romano dei gesuiti, dedicandosi agli umili e agli ammalati, distinguendosi soprattutto durante l'epidemia di peste che colpì Roma nel 1590.
In quell'occasione, trasportando sulle spalle un moribondo, rimase contagiato e morì.
Era il 1591, aveva solo 23 anni. (Avvenire)

Patronato: Giovani, Gioventù
Etimologia: Luigi = derivato da Clodoveo
Martirologio Romano: Memoria di San Luigi Gonzaga, religioso, che, nato da stirpe di principi e a tutti noto per la sua purezza, lasciato al fratello il principato avito, si unì a Roma alla Compagnia di Gesù, ma, logorato nel fisico dall’assistenza da lui data agli appestati, andò ancor giovane incontro alla morte.
Il matrimonio dei suoi genitori - il marchese Ferrante Gonzaga e Marta dei conti Tana di Chieri (Torino) - si è celebrato nel palazzo reale di Madrid, perché Ferrante è al servizio di re Filippo II di Spagna.
Luigi è poi nato nel castello di famiglia: è il primo di sette figli, erede del titolo e naturalmente con un futuro di soldato.
Perciò il padre lo porta in mezzo alla truppa già da bambino.
Poi cominciano per lui i soggiorni in varie corti e gli studi.
Nel 1580, dodicenne, Luigi riceve la prima Comunione dalle mani di san Carlo Borromeo.
Nel 1581 va a Madrid per due anni, come paggio di corte e studente.
È di questa epoca un suo ritratto.
Autore è il grande El Greco, che mostra il Luigi autentico (come pochi altri suoi ritratti), e ben diverso dal fragile piagnone raffigurato più tardi da tanta pittura per sentito dire, fuorviata dal fervore maldestro di oratori e biografi: purtroppo la sua austerità di vita (da lui contrapposta alla fiacchezza morale del gran mondo) sarà, per molto tempo, presentata come una sorta di avversione ossessiva nei confronti della donna.
In Spagna, Luigi è brillante alunno di lettere, scienza e filosofia e tiene la tradizionale dissertazione universitaria; insieme, legge testi spirituali e relazioni missionarie, si concentra nella preghiera, decide di farsi gesuita e – malgrado la contrarietà del padre – a 17 anni entra nel noviziato della Compagnia di Gesù a Roma, dove studia teologia e filosofia.
Nel 1589 (a 21 anni) lo mandano a Castiglione delle Stiviere per mettere pace tra suo fratello Rodolfo (al quale ha ceduto i propri diritti di primogenito) e il duca di Mantova.
Obiettivo raggiunto: Luigi si muove bene anche in politica, anche se la sua salute è fragile (e le severe penitenze certamente non lo aiutano).
Nel ritorno a Roma, un misterioso segnale gli annuncia vicina la morte.
È il momento di staccarsi da tante cose.
Ma non dalla sofferenza degli altri; non dalla lotta per difenderli.
Nel 1590/91 un insieme di mali infettivi semina morte in tutta Roma, stende in 15 mesi tre Papi uno dopo l’altro (Sisto V, Urbano VII, Gregorio XIV) e migliaia di persone.
Contro la strage si batte Camillo de Lellis con alcuni confratelli, e così fa Luigi Gonzaga.
Ma siccome è malato anche lui da tempo, gli si ordina di dedicarsi ai casi non contagiosi.
Però lui, trovato in strada un appestato in abbandono, se lo carica in spalla, lo porta in ospedale, incaricandosi di curarlo.
Poi torna a casa e pochi giorni dopo è morto, a 23 anni. "In una commovente lettera, il 10 giugno, egli prese commiato dalla madre" (L. von Pastor).
Nel 1726, Papa Benedetto XIII lo proclamerà Santo.
Il suo corpo si trova nella chiesa di Sant’Ignazio in Roma, e il capo è custodito invece nella basilica a lui dedicata, in Castiglione delle Stiviere, suo paese natale.
(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Luigi Gonzaga, pregate per noi.

*Santa Marzia - Martire (21 Giugno)

Emblema: Palma
Santa Marzia è venerata il 21 giugno insieme a San Rufino, ambedue martiri di Siracusa, essi sono citati in tutti i più antichi Martirologi, compreso quello “Romano” che è il più ufficiale.
Ma alcuni studi tendono ad escludere la loro esistenza a Siracusa, identificando Rufino con il martire Rufo o Rufino di Capua, il cui nome è scolpito al 21 giugno, sul famoso calendario marmoreo di Napoli, conservato in locali adiacenti il Duomo; mentre Marzia o Marcia, sarebbe una corruzione di Marciano, primo vescovo di Siracusa, ricordato oggi il 14 giugno, ma anticamente lo era al 30 ottobre.
Come si vede se è realmente esistita una Santa Marzia, di lei non si sa niente solo che era martire e che comunque è ricordata il 21 giugno.
Il nome deriva dal latino “Martius” e significa “dedicata a Marte”, il nome originale è Marcia, come la moglie di Catone, ma fu Dante che cambiò il nome in Marzia.
Martius era anche il nome del nostro mese di marzo. Ad ogni modo il nome Marzia è sufficientemente diffuso in Italia.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Marzia, pregate per noi.

*Beato Melchiorre della Pace - Mercedario (21 Giugno)
Mercedario e zelante predicatore, il Beato Melchiorre della Pace, andò in Africa per redimere schiavi.
Desiderava con ardore il martirio per dar maggior lode a Cristo, amorevolmente infondeva a chiunque l’avvicinava pace e serenità e con grande amore e fu ricevuto dal sultano del Marocco, per cui il suo desiderio non fu esaudito.
Ritornato in patria spirò serenamente.
L’Ordine lo festeggia il 21 giugno.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Melchiorre della Pace, pregate per noi.

*San Mevenno - Abate (21 Giugno)

VI secolo
La vita del Santo abate Mevenno (Main, Mewan o Méen) è particolarmente legata a un suo celebre discepolo, il sovrano bretone san Giudicaele.
Originario del Galles, Mevenno era uno di quei monaci celti che nel VI secolo erano soliti spostarsi nella Cornovaglia e nella Bretagna, i cui viaggi e le cui vite non traspaiono che dalle leggende e dalla toponomastica. Si narra fosse nato a Gwent ed entrò nel monastero di Caldey.
Seguì poi l'abate, san Sansone di Dol, nei suoi viaggi missionari nelle terre suddette. Mevenno ottenne un terreno presso Gael, nella foresta di Brocéliande, ove eresse un grande centro missionario.
In seguito si fece promotore della fondazione della futura grande abbazia di Saint-Méen. In Cornovaglia, non distanti l'una dall'altra, sorgono due parrocchie rispettivamente dedicate a san Mewan e a san Austell suo discepolo, mentre in Bretagna ed in Normandia non pochi luoghi derivano il loro nome, sotto molteplici forme, proprio da Mavenno.
Alla morte del Santo, le sue reliquie furono accolte dall'abbazia bretone di Saint-Méen-le-Grand. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Ghé nella Bretagna, in Francia, San Mevenno, abate, che, originario del Galles, si ritirò in una selva nell’interno della Bretagna, dove fondò un monastero.
In data odierna il Martyrologium Romanum cita il Santo abate Mevenno (Main, Mewan o Méen), la cui esistenza terrena è particolarmente legata ad un suo celebre discepolo, il sovrano bretone
San Giudicaele.
Originario del Galles, Mevenno era uno di quei monaci celti che nel VI secolo erano soliti spostarsi nella Cornovaglia e nella Bretagna, i cui viaggi e le cui vite non traspaiono che dalle leggende e dalla toponomastica.
Si narra fosse nato a Gwent ed entrò nel monastero di Caldey. Seguì poi l’abate, San Sansone di Dol, nei suoi viaggi missionari nelle terre suddette. Nella “Vita” di Sansone, redatta un secolo dopo, è infatti citato un anonimo diacono “nel fiore della giovinezza” accompagnatore del santo nel suo peregrinare.
Mevenno ottenne un terreno presso Gael, nella foresta di Brocéliande, ove eresse un grande centro missionario.
In seguito si fece promotore della fondazione della futura grande abbazia di Saint-Méen. Tra i suoi numerosi discepoli ed amici vi era anche il suo figlioccio Austolo, anch’egli poi venerato quale Santo.
In Cornovaglia, non distanti l’una dall’altra, sorgono infatti due parrocchie rispettivamente dedicate a S. Mewan e S. Austell, mentre in Bretagna ed in Normandia non pochi luoghi derivano il loro nome, sotto molteplici forme, proprio da Mavenno.
Alla morte del santo, le sue reliquie furono accolte proprio dall’abbazia bretone di Saint-Méen-le-Grand. Durante il Medio Evo il santo godette di grande fama ed anche in seguito fu invocato per ottenere la guarigione delle malattie della pelle, particolarmente una forma di dermatosi nota sotto il nome di “male di Saint Méen”.
Alle acque che scaturivano dai pozzi o dalle sorgenti a lui intitolati, la cui più famosa è vicino al monastero di Gael, erano attribuite capacità curative ed annualmente convenivano in tali luoghi migliaia di pellegrini. Nell’alta Bretagna col nome di “herbe de Saint Main” è conosciuto un fiore di campo, varietà della scabiosa.
Leggendari racconti gallesi narrano che Mevenno in età assai avanzata fece ritorno in patria e vi morì: ne farebbe memoria una croce posta nel cimitero della chiesa di Lantwit Major. Come si può ben notare, ben poche sono le notizie storicamente certe sul santo, nonostante fantasiosi agiografi si siano sbizzarriti, come molti loro contemporanei hanno fatto con altri personaggi, nel comporre stravaganti racconti che attribuiscono già in vita al santo eventi prodigiosi.

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Mevenno, pregate per noi.

*San Radulfo (Rodolfo) di Bourges - Vescovo (21 Giugno)

m. 866
Martirologio Romano:
A Bourges nell’Aquitania, ora in Francia, San Rodolfo, vescovo, che, pieno di premura al riguardo della vita sacerdotale, insieme ai sacerdoti della Chiesa a lui affidata si prese cura di riunire in una raccolta sentenze dei Santi Padri e dei canoni ad uso pastorale.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Radulfo di Bourges, pregate per noi.

*San Raimondo - Vescovo di Roda - Barbastro (21 Giugno)

m. 1126
Martirologio Romano:
A Huesca in Aragona, San Raimondo, che, divenuto da canonico regolare vescovo di Roda e di Barbastro, non volle mai combattere militarmente i nemici della fede cristiana e per questo fu per tre anni espulso dalla sua sede.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Raimondo, pregate per noi.

*Beato Tommaso da Orvieto - Religioso dell'Ordine dei Servi di Maria (21 Giugno)

1300 circa – 1343
Martirologio Romano:
A Orvieto in Umbria, Beato Tommaso, religioso dell’Ordine dei Servi di Maria.
Il comune di Orvieto, come risulta da antichi documenti del 1463 conservati nell’Archivio di Stato della città, offriva ogni anno, il 21 giugno, un cero per l’altare in cui erano venerate le spoglie del Beato Tommaso dei Servi di Maria. L’atto pubblico si univa alla devozione unanime della popolazione verso l’umile frate, dichiarato Santo dai suoi concittadini alcuni secoli prima che la Chiesa ne confermasse ufficialmente il culto.
Tommaso aveva raggiunto le vette del Paradiso senza fare nulla di straordinario, semplicemente, con umiltà.
Il Beato nacque nell’antichissima città di Orvieto in una buona famiglia da cui assimilò un ardente amore per la Santa Vergine. Fin da piccolo imparò a recitare ogni giorno le preghiere in suo onore, anche camminando per le strade della città e, quando poteva, in ginocchio. Fu naturale dunque la decisione di farsi religioso, consacrandosi alla Madre del Signore nell’Ordine per Lei fondato nel 1233 da sette mercanti fiorentini.
La congregazione, che andava diffondendosi, eccellendo per la santità dei suoi membri, era giunta in Orvieto nel 1260. Negli anni della giovinezza di Tommaso vi viveva il dotto frate B. Bonaventura da Pistoia, maestro in santità e dottrina, collaboratore di S. Filippo Benizzi e guida spirituale di S. Agnese da Montepulciano.
Tommaso volle essere un semplice converso, ad imitazione proprio della Vergine, la Serva del Signore. Venne così destinato alla raccolta delle elemosine, ricoprendo questo incarico devotamente. Tanto umile nel mendicare quanto gioioso nel donare, venne ricompensato da Dio con tangibili segni miracolosi. A contatto con le più diverse classi sociali, toccando con mano la miseria dei bisognosi, donava quanto poteva, a costo di privarsi di ciò che era necessario al suo sostentamento.
Tra gli altri, ci è stato tramandato un episodio singolare: durante un inverno, mentre era in giro per la questua, incontrò una donna che sempre gli faceva l’elemosina e che trovandosi in stato di gravidanza aveva un forte desiderio di mangiare dei fichi. Vista la stagione la richiesta era irrealizzabile, ma Tommaso promise che il giorno seguente l’avrebbe accontentata. Dopo aver pregato si recò nell’orto e quale fu la gioia nel trovare i sospirati frutti. Erano tre, fra cinque foglie: il frate raccolse tutto il rametto e lo portò alla donna.
L’episodio rimase talmente impresso nella memoria collettiva che Tommaso venne poi chiamato il frate “del fico” e con quell’atto assumerà la sua tipica raffigurazione iconografica. L’albero diede in seguito frutti di un sapore tutto particolare. Altri fatti eccezionali operò il beato ancora in vita: due ciechi guariti e un ragazzo illeso dopo la caduta in un precipizio. Molti miracoli si verificarono successivamente alla sua morte, avvenuta nell’anno 1343.
La sua sepoltura, presso l’altare della Vergine dei Dolori, divenne meta di pellegrinaggi e fonte di grazie.
A inizio ‘600, mentre si raccoglievano i documenti per la stesura degli annali dell’Ordine, il priore del convento dei Servi di Orvieto raccolse alcune memorie, documenti e molte relazioni di grazie del B. Tommaso che furono poi importanti per la beatificazione. Mentre era superiore della provincia Fra Luca Pucci di Foligno (1698-1701) si procedette alla prevista ricognizione del corpo che, secondo le antiche memorie, era inu
mato con quello del B. Bonaventura da Pistoia. Nottetempo e segretamente si procedette a cercare la sepoltura. Trovata la cassa, dopo l’autorizzazione del vescovo, la si aprì in presenza di un notaio. La festa diocesana, “ab immemorabili”, come risulta dalle carte comunali, si celebra il 21 giugno. Un’altra memoria era però molto sentita, coincidente col primo martedì dopo Pasqua. In tale giorno, dopo una solenne celebrazione in duomo, il popolo numerosissimo si raccoglieva nella chiesa dei Servi per venerare le reliquie del beato appositamente esposte. Quest’ultima festa fu celebrata fino alla riforma del calendario liturgico, la memoria propria dell’Ordine è invece fissata al 27 giugno.
Nel 1758 si dipinsero dieci medaglioni raffiguranti momenti importanti della vita del Beato e fatti occorsi dopo la sua morte. Sono purtroppo scomparsi durante i lavori di ristrutturazione della chiesa nella seconda metà dell’800, ma la loro descrizione è interessante per comprendere come la popolazione, in larga parte analfabeta, venisse a conoscenza delle virtù del nostro
beato. Ne abbiamo notizia da un documento del processo di beatificazione, scritto dieci anni dopo la loro esecuzione.
Il loro contenuto era: il piccolo Tommaso vede in sogno l’Addolorata che gli porge l’abito dei Servi, la carità dei pani verso i poveri, l’episodio celebre del dono dei fichi in pieno inverno ad una donna gravida, il Beato che prega per un giovane che cade in un dirupo, la restituzione della vista ad un cieco, la guarigione di un monaco da una cancrena, la liberazione dal carcere di un condannato a morte, un cieco che prega davanti al sepolcro del beato, devoti davanti al medesimo sepolcro e infine due frati che porgono una reliquia del beato ad un’inferma. L’immagine più antica di fra’ Tommaso è invece conservata in sacrestia, insieme ad altri tondi raffiguranti santi e beati dell’Ordine, eseguiti dalla mano sapiente di Luca Signorelli (1445-1523).
Una ulteriore ricognizione delle reliquie fu fatta nel 1738: si trovarono una pergamena datata 1343 e alcuni ramoscelli di fico. Analizzato dai periti, lo scheletro era in discrete condizioni. Terminate le operazioni furono suonate le campane e cantato il Te Deum. Papa Clemente XIII ne confermò il culto il 10 dicembre 1768, seguirono grandi festeggiamenti.
Nel 1902 si provvide al cambio dell’abito e alcune reliquie furono portate a Roma presso la postulazione dell’Ordine. Oggi il suo corpo riposa sotto la mensa dell’altare maggiore della medesima chiesa dei Servi che, a distanza di sette secoli, sono ancora coadiuvati dall’ordine secolare nato qualche anno prima dell’umile frate “del fico”.
Preghiera
O Dio,
che benigno porgi ascolto alle preghiere degli umili,
concedi alla tua famiglia,
per intercessione del Beato Tommaso,
di ottenere la serenità nella vita presente
e il gaudio eterno in quella futura.
Amen

(Autore: Daniele Bolognini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Tommaso da Orvieto, pregate per noi.

*Sant'Ursicino di Pavia - Vescovo (21 Giugno)

Emblema: Bastone pastorale
Nome poco usato, si riferisce ad un vescovo della diocesi di Pavia, che nell’elenco cronologico è al sesto posto, con una durata dell’episcopato di trentatré anni, altri storici lo pongono nel 410 fino al 433 con la data della morte al 22 giugno, mentre il “Martirologio Romano” e altre fonti storiche la fissano al 21 giugno.
Non vi sono dubbi sulla sua esistenza, ma della sua vita si sa solo una narrazione leggendaria che come dice G. Henskens negli “Acta Sanctorum” può adattarsi a qualsiasi vescovo antico.
Perfino il suo nome è controverso, nelle autorevoli fonti agiografiche è chiamato con vari nomi oltre Ursicino: Urcisceno, Urceseno, Urseceno, Ursecino.
Si sa che nel secolo XIV chierici e popolo pavesi, si recavano in processione nella chiesa di San Giovanni in Borgo, oggi distrutta, dov’era il suo sepolcro per festeggiarlo nella sua ricorrenza liturgica.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant' Ursicino di Pavia, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (21 Giugno)

*xxx
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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